“Maledetta primavera” cantava Loretta Goggi. Ma da secoli l’Equinozio che cade tra il 19 e il 21 marzo è simbolo di rinascita, nuova vita e fertilità. E allora diamo il benvenuto alla primavera scoprendo assieme le tante tradizioni ad essa legate.
L’Equinozio di primavera
Da ieri, l’Equinozio di primavera ci ha ufficialmente portati nella stagione dei fiori e della rinascita della natura. Ma cos’è l’equinozio? Il momento, verificatosi ieri alle 10.37, in cui il Sole è allo Zenit all’equatore, cioè i suoi raggi cadono perpendicolari all’asse terrestre. Il risultato è che in quel giorno il dì e la notte hanno la stessa durata e da lì le ore di luce – che avevano cominciato ad allungarsi dopo il Solstizio d’inverno – cominciano a prendere il sopravvento su quelle di buio.
Ma perché non cade sempre nello stesso giorno? Da consuetudine, siamo abituati ad associare il primo giorno di primavera al 21 di marzo, tanto che quando cade il 20 (come ieri), molti vengono colti di sorpresa, anche se in realtà è ormai una decina d’anni che si verifica questo anticipo. L’ultima volta che l’equinozio di primavera è caduto “puntuale” il 21 marzo è stato infatti nel 2011.
Il motivo? La terra non impiega precisamente 365 giorni a girare attorno al sole, ma un pochino di più: 365 giorni, 6 ore e una manciata di minuti. Questo fa sì che si accumuli il “ritardo” che viene bilanciato, ogni quadriennio, dagli anni bisestili, che non bastano però a pareggiare perfettamente i conti. Conseguenza ne è che l’Equinozio cambi ogni volta giorno e ora, variando tra il 19 e il 21 marzo. Quindi mettiamoci l’animo in pace, facciamo un cerchietto attorno al 20 marzo anche per i prossimi anni e facciamoci un appuntino per essere pronti a festeggiarlo il 19 marzo nel 2044.
Tradizioni
Da millenni l’equinozio è festeggiato nelle diverse culture, che danno il benvenuto alla primavera come simbolo, appunto, di rinascita. Tanto che per alcuni popoli questa data era considerata l’inizio del nuovo anno. Questo accadeva nell’antica Mesopotamia, ma persiste tutt’oggi in alcuni paesi.
Nawrūz
In Iran, ad esempio, l’equinozio di primavera coincide con il Capodanno Persiano, la festa del Nawrūz. Questa tradizione di origine zoroastriana, è festeggiata anche in Azerbaigian, Afghanistan, Albania, Bosnia, in vari paesi dell’Asia centrale come il Turkmenistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan, il Kirghizistan e il Kazakistan e presso le comunità iraniane in Iraq, Pakistan, Turchia. Qui la festività è però abbastanza controversa, perché vista come un momento di unità nazionale dalla minoranza curda, tanto da essere stata vietata fino al 2000 e non sono mancati eventi sanguinosi. La festa è poi celebrata nei paesi dov’è presente una nutrita comunità di emigranti iraniani, in particolare a Londra.
Il nome di questa tradizione plurimillenaria, nasce dall’unione di due parole antico-persiane: nava (nuovo) e rəzaŋh (giorno) e significa quindi “nuovo giorno”. In questa occasione, quindi, sono previsti riti ben precisi. Il primo il “Khane Tekani”, suona sì esotico, ma nella realtà è abbastanza familiare: si concretizza in fatti nella pulizia e messa a nuovo della casa, in pratica le nostre “pulizie di primavera”. E anche Chahârshanbe Sûrî, i fuochi che sconfiggono le tenebre nell’ultimo mercoledì dell’anno, ricordano da vicino quelli della tradizione europea. Durante la notte vengono accesi fuochi che gli uomini saltano cantando i versi tradizionali Zardî-ye man az to, sorkhî-ye to az man, cioè “il mio giallo (debolezza) a te, il tuo rosso (forza) a me.
Altre tradizioni vogliono che gli spiriti degli antenati tornino a visitare i discendenti, che si debba rompere un vaso di terracotta come gesto benaugurante o che il buon auspicio venga dal fare un nodo al fazzoletto, da far sciogliere a un’altra persona. L’Haft Sîn è infine un rituale di preparazione della tavola con sette elementi i cui nomi iniziano con la sin (‘esse’) in persiano. Sette è infatti un numero sacro.
Holi
In India, invece, nel giorno che dà il benvenuto alla primavera si celebra l’Holi, una festa religiosa durante la quale è tradizione sporcarsi con polveri colorate, simbolo di rinascita e reincarnazione. In realtà questa festa non viene celebrata
La sera prima di Holi, è tradizione accendere un falò, l’Holika Daha, che ricorda l’uccisione del demone Holika, per salvare la nipote Prahlad, devota al dio Vishnu, che aveva cercato di bruciarla. In antichità ognuno contribuiva con un ceppo o due al falò. Ancora oggi è tradizione ballare attorno ai fuochi, che siimboleggiano la vittoria del bene sul male.
Proprio da questo fatto prende quindi il nome il “festival dei colori” o della primavera, che si scatena il giorno seguente in un turbinio di polverine multicolori, la cui allegria ha lo stesso significato simbolico di far prevalere il bene sulle tenebre. Celebrata in India, Nepal e nei paesi della diaspora indiana, questa tradizione si è diffusa anche nel mondo occidentale, perdendo il suo significato religioso e trasformandosi in un evento celebrato che unisce colori e musica da discoteca.
Ostara
Torniamo quindi più vicino a noi, dove nel Nord Europa l’equinozio di primavera era associato alla dea Eostre, divinità germanica della fertilità. In questo momento, in cui la bella stagione cominciava a manifestarsi, si pregava perché il sole avesse la meglio sulle tenebre. Ostara era quindi legata ad un momento di rinascita naturale, fisica e spirituale. In questo momento la dea fanciulla era quasi pronta all’unione con il dio, che sarebbe stata celebrata a Beltane.
Con l’avvento del Cristianesimo a questa festività venne assimilata alla Pasqua, che non a caso in inglese è chiamata Easter e in tedesco Oster. I cristiani hanno comunque mantenuto molte simbologie legate alle celebrazioni preesistenti, come la lepre e l’uovo, simboli di fertilità legati alla dea, e il cero.
Nel neopaganesimo, Ostara è uno degli otto sabba, che viene celebrato appunto il giorno dell’equinozio di primavera. Ogni anno molte persone si ritrovano ad esempio nel sito megalitico di Stonehenge, per un rituale collettivo guidato da un druido.
Higan e Hanami
Ma non si può dare il benvenuto alla primavera senza nominare i fiori, che già dall’inizio di marzo hanno cominciato a rallegrare prati e giardini e che continueranno a farlo per molti mesi. Anche in Giappone nei sette giorni attorno all’equinozio si tiene la festa di Higan, letteralmente “altra sponda”, che anche per i buddhisti non significa soltanto il cambio di stagione, ma anche il passaggio dall’ignoranza all’illuminazione e da una vita all’altra. Per questo è il periodo dedicato alla visita alle tombe degli antenati.
Ma soprattutto è il periodo dell’Hanami, il momento in cui i giapponesi insieme alla famiglia o agli amici si dedicano ad ammirare i ciliegi in fiore, una delle immagini più affascinanti e iconiche del Sol Levante. Questi fiori, per i giapponesi simbolo di bellezza effimera, rappresentano non solo la meraviglia del creato, ma anche la sua transitorietà.
C’è una tradizione legata alla primavera che amate? Una storia che volete raccontarmi? Mandatemi i vostri commenti e suggerimenti o scriveteli sulla mia pagina Facebook!